I cambiamenti nelle società che si sono succedute nel tempo hanno sempre prodotto mutamenti anche nei modelli familiari, che di conseguenza hanno influenzato i metodi educativi e i diversi ruoli all’interno di queste relazioni. Nel corso della storia dell’uomo si è passati da società nomadi a società stazionarie, a modelli di sopravvivenza dove la caccia e la raccolta erano le attività principali, a modelli in cui l’agricoltura e l’artigianato avevano creato nuovi bisogni, da qui gradualmente si è passati da piccoli villaggi di quaranta persone a vere e proprie città. Le organizzazioni socio-economiche così evolute dal Neolitico in poi hanno prodotto poteri politici incentrati su sovrani e ricchi proprietari terrieri che comandavano su grandi masse di persone, talvolta schiave, queste società hanno quindi determinato forme di sviluppo familiare di tipo verticale dove la figura maschile dominava e la donna si doveva occupare dei figli e della casa. L’educazione così intesa è stata lo specchio di molte società che si andavano di volta in volta delineandosi nei vari gruppi di popolazioni che si sono sviluppate nei cinque continenti. Le caratteristiche di queste nuove forme di organizzazione socio-familiare sono state approfondite nell’ambito delle ricerche antropologiche che si sono concentrate maggiormente nel XX Secolo. Ma è proprio quest’ultimo che ha visto mettere in discussione molte delle credenze che sembravano essere alla base delle società industrializzate, poiché, in quelle rurali o nelle tribù ancora esistenti, i modelli familiari e quindi i diversi ruoli ricoperti all’interno delle organizzazioni, sono rimaste pressoché inalterate nel tempo. Molti sono stati gli studiosi che hanno analizzato i comportamenti all’interno delle società e delle famiglie sviluppando teorie sociologiche, psicologiche, antropologiche e pedagogiche, intente a fornire risposte sui cambiamenti in atto nel mondo occidentale ma soprattutto per comprendere la crisi generale del rapporto educativo genitori-figli. Se da una parte il benessere economico ha fornito alla piccola e media borghesia la possibilità di una vita più serena e spensierata, dall’altro nelle grandi città prima e successivamente nei piccoli borghi, molte famiglie hanno cominciato ad avere problemi economici, di dipendenza, di degrado e d’identità. Così come molti traguardi sono stati raggiunti nell’assunzione di uguali diritti tra le persone in tutte le più ricche Nazioni del mondo, ciò ha anche portato alla crisi di alcuni ruoli fino ad allora mai messi in discussione, uno tra questi quello della donna, che si dedicava solo alla famiglia e che adesso invece ha preso coscienza di sé ed ha cominciato a lavorare delegando talvolta il suo ruolo educativo ad altri. C’è da dire che fino alla seconda metà del Novecento le famiglie erano costituite sia da un numero elevato di figli ma anche dalla presenza di altri familiari all’interno del loro nucleo, come i nonni e gli zii. La convivenza tutti insieme nella stessa abitazione o nelle immediate vicinanze, aveva creato delle micro-società dove il rispetto dell’età anagrafica più elevata, dell’esperienza e della gerarchia erano vissute come valore aggiunto e non come un peso. Come conseguenza di questa grande famiglia “allargata”, le veci genitoriali erano ricoperte anche da altri familiari e ciò non faceva altro che ampliare la rete educativa all’interno della società senza gravare sulle spese dello Stato ma soprattutto aveva la funzione di perpetuare un modello di famiglia coeso e forte. Allorquando tutto questo è venuto meno in modi e tempi diversi nei vari Paesi dell’area Occidentale, insieme a tutte le grandi questioni sociali che sono avvenute nel corso del Novencento, la famiglia si è come sgretolata e i genitori non hanno più avuto come riferimento “modelli” forti e sicuri all’interno del proprio entourage.
Negli ultimi trent’anni l’attenzione dei pedagogisti e di altri specialisti del settore, hanno prodotto molti libri sulla genitorialità che sono alla portata di tutti, gli psicologi che vanno in televisione a parlare della relazione genitori-figli e di educazione sono molti, ma nonostante ciò, si è scoperto che i libri non bastano e le parole senza un confronto, neppure. È venuto a mancare il “passaggio di testimone”, ovvero l’educazione per imitazione come lo è l’esempio di una persona “esperta” o di fiducia, sono venuti a mancare i valori fondamentali della famiglia, la società non offre più certezze perché cambia troppo rapidamente, tutto ciò lascia i genitori senza più bussole da seguire ma soltanto una solitudine ed un individualismo che crea superficialità nei rapporti ed anche un’incapacità educativa priva di qualsiasi umile richiesta di aiuto e del fidarsi dell’altro che ci tende la mano. Nonostante oggi le possibilità di informarsi e formarsi un’idea sull’educazione infantile sia accessibile a tutti, molti non si lasciano guidare, si assiste ad una totale estraneità di fronte alla conoscenza di quelli che possano essere i reali bisogni, le diverse necessità e i doveri di crescita di un bambino. Spesso l’adulto non si ricorda come lui stesso sia stato educato da piccolo oppure cerca di non ripetere il modello che gli è familiare, tanto meno cerca aiuto o segue i consigli di esperti del settore, pertanto la tendenza è quella di delegare ad altri un ruolo che spetta in primis a loro evitando di esporsi in prima persona.
Molteplici le riflessioni che possiamo fare su tali aspetti e come non citare un lavoro ancora attuale sull’educazione alla genitorialità, ovvero “Un genitore quasi perfetto” di Bruno Bettelheim. In esso infatti, non vengono date risposte preconfezionate, poiché non è possibile in quanto ogni bambino è un individuo unico e ogni situazione familiare merita di essere analizzata a sé, così come gli aspetti comportamentali di un bambino in casa e a scuola possono avere risposte diverse ed essere gestiti in maniera differente. Un aspetto che viene ribadito ripetutamente nel testo dal noto psichiatra, è la necessità di essere un genitore “passabile”, ovvero quel genitore che mentre educa il proprio figlio interroga sé stesso sugli aspetti emotivi che ha sperimentato quando aveva la medesima età; dalla consapevolezza di aver vissuto un’esperienza simile e dal comportamento a sua volta dei propri genitori, trarrà spunto per poter essere empatico con il figlio e riuscire a supportarlo nelle scelte e a comprendere le frustrazioni provate. L’immedesimarsi nel figlio da parte di un genitore riporta alla luce ferite o situazioni irrisolte che possono essere rielaborate e che possono portare ad una nuova lettura a distanza di anni dei propri vissuti connotandosi come un’autoanalisi introspettiva che porterà ad una guarigione e a uno stato d’animo di maggiore accoglienza verso il proprio figlio. Nel libro vengono fatti numerosi esempi accorsi durante la lunga carriera di Bettelheim con i gruppi di genitori dei bambini che seguiva o che conosceva, l’autore fa anche uso della sua autobiografia per spiegare come funziona la mente aldilà della pura razionalità, rivivendo aspetti intrapsichici che in giovane età non erano stati compresi così come pure alcuni comportamenti messi in atto dai suoi genitori e da alcuni professori. C’è da dire che Bettelheim non ha escluso dalle sue analisi i diversi contesti storici e gli ambienti in cui si verificavano alcune problematiche, poiché teneva in considerazione sia la storia personale dell’individuo oggetto di intervento psicoterapeutico e della sua famiglia, sia l’ambiente in cui avvenivano i fatti, ma anche la storia che l’aveva attraversata, in un continuo contestualizzare ciò che stava accadendo. A mio avviso la sua testimonianza è molto importante perché ci fa capire come funzionano i rapporti familiari e quale impatto può avere un approccio educativo piuttosto che un altro nella costruzione di una sana relazione genitori-figli, ecco perché nel libro “Un genitore quasi perfetto” non ci sono risposte preconfezionate su tematiche ben precise ma si possono trovare degli stimoli metodologici positivi per implementare un rapporto che si basi sulla reciproca fiducia e sull’onestà. Un bambino e un ragazzo si sentono maggiormente compresi se si sentono accolti nei loro bisogni anche quando questi non sembrano chiari nemmeno a loro. Spesso infatti, i comportamenti di rifiuto nel rispettare le regole, nello studiare, nel praticare uno sport o altre situazioni quotidiane, nascono in presenza di cambiamenti nella sfera familiare o nella voglia di affermare sé stessi, tuttavia se un genitore ne chiede il motivo, talvolta egli risponde in modo vago o privo di una reale motivazione. La famiglia di fronte a ciò può reagire in diversi modi: con sorpresa, con rassegnazione oppure cercando di capire la prospettiva del figlio e smettendo di incalzarlo sulla questione. Alla base di ciò infatti possono esserci delle motivazioni più profonde e non esplorate, che possono andare da un bisogno di crescere a un modo qualsiasi di affermazione del sé e talvolta anche dall’attirare l’attenzione sul vero Io, queste situazioni vanno quindi accolte e lasciate libere di esprimersi, tuttavia compito del genitore “passabile” sarà quello di infondere fiducia, rassicurazione e portare il figlio verso una possibile risoluzione. Molto spesso in questo processo c’è da avere pazienza ma alla fine le situazioni si risolvono e tornano serene, anche se sembra di non aver fatto niente di strano, sono questi i momenti che daranno frutti in futuro, poiché da un’esperienza familiare solida si avranno relazioni sociali positive, un lavoro soddisfacente ma soprattutto la capacità di essere una persona introspettiva e che sa ascoltarsi ed ascoltare sia sul piano emotivo che su quello razionale.
A conclusione di questa rilettura dei sistemi familiari nelle varie società e della crisi d’identità del genitore moderno che non riesce a creare un rapporto educativo con il figlio efficace ma soprattutto funzionale e maturo, ho pensato e rielaborato sotto forma di elenco i principi richiamati sopra a proposito del “genitore quasi perfetto” di Bettelheim, in modo che questi possano guidare i genitori a ripensare il proprio approccio educativo alla luce delle strategie migliori nelle problematiche genitori-figli, esse sono solo suggerimenti da richiamare alla mente e non sono, chiaramente, risposte a nessun problema specifico:
– Dare importanza ad ogni cambiamento, anche piccolo, all’interno della vita familiare;
– Osservare sé stessi mentre si chiede ai figli di rispettare alcune regole;
– Riconoscere il disagio interiore che provoca una determinata situazione e provare a reagire non come sarebbe utile ma con la consapevolezza dei propri limiti;
– Provare empatia con il figlio anche se si tratta di un’esperienza che non si è vissuto in prima persona ma cercando di comprenderla;
– Dare fiducia ed essere rassicuranti;
– Creare un dialogo sincero cercando di mettere da parte il rancore e il proprio punto di vista, cercare quindi di parlare in modo pacato ma sentito (non essere distaccati ma nemmeno troppo ansiosi);
– Avere pazienza e dare tempo alla soluzione spontanea della problematica;
– Rispettare tempi, inclinazioni e reali bisogni del figlio (che non significa assecondarlo in tutto e per tutto specie se riguarda un pericolo reale per sé e per gli altri o se si tratta di un evidente problema emotivo che può causare: perdita di stima, depressione, rabbia, dipendenze, autolesionismo, disturbi del sonno, dell’alimentazione, dell’apprendimento, dell’attenzione, dell’iperattività, d’ansia e di autoesclusione dalla vita sociale in generale);
– Amarsi sapendo che un figlio non è la nostra copia;
– Gestire le aspettative e le frustrazioni in modo consapevole ma anche con rispetto verso sé stessi;
– Amare e rispettare il proprio figlio come persona che cresce con noi e attraverso di noi.
Questo articolo che può essere ampliato in tutte le direzione possibili, ha l’obiettivo di mettere al centro il genitore insieme al suo bambino, così come l’educazione alla genitorialità ha l’obiettivo di aiutare chi si trova in difficoltà e aiutarlo a muovere i primi passi per porre rimedio al proprio smarrimento di fronte alle difficoltà dell’educare.