“La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto”
Peter Drucker (guru del management)
«Non si può non comunicare»1 questa affermazione riassume bene il concetto di comunicazione, in effetti quando si parla di Comunicazione tra persone si dà più importanza al linguaggio verbale, in realtà, quando siamo di fronte ad una persona si comunica con tutto il corpo, anche quando stiamo in silenzio. Nella relazione educativa a maggiore ragione la comunicazione assume un ruolo importantissimo per la riuscita del progetto formativo, infatti oltre al linguaggio verbale bisogna prestare molta attenzione alla mimica, alla gestualità e alla prossemica che ci forniscono molti altri dati sia di natura inconscia che di natura manifesta riguardo al nostro modo di comunicare.
Nell’elaborazione di questo articolo ma soprattutto nel mio lavoro quotidiano ho tenuto conto di tutte le esperienze vissute in qualità di insegnante di scuola primaria, di educatrice al nido e di facilitatrice dei Circoli di Studio, infatti per me parlare di comunicazione implica la possibilità di ripercorrere il mio passato sia professionale che formativo e riflettere sui differenti modi di comunicare a seconda della circostanza e del ruolo ricoperto, diventa quindi, un modo per guardarsi dentro. La comunicazione si sperimenta ogni giorno e capirne i suoi effetti non può che renderci più consapevoli di noi stessi e dell’altro.
1 Frase celebre dello psicoterapeuta Watzlawich Paul che insieme ai collaboratori Beavin Janet e Jackson Don , nel 1967 pubblicò uno studio sulla pragmatica della comunicazione. In Watzlawich, P. Beavin J. H. e Jackson, D.D. (1967). Pragmatica della Comunicazione Umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi. Casa editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma, 1971, p. 42.
Gli studi sulla comunicazione e le teorie pedagogiche sulla relazione educativa
Innanzitutto è necessario definire la comunicazione come quel «processo di scambio di informazioni e di influenzamento reciproco che avviene in un determinato contesto». Spesso mi sono ritrovata a rileggere gli “assiomi della metacomunicazione” per ridefinire ciò che vuole significare comunicare in modo efficace, essi ci possono aiutare a capire meglio cosa avviene veramente quando comunichiamo: 1) «non si può non comunicare»2; 2) «ogni comunicazione ha due aspetti di contenuto e di relazione»3; 3) «la natura di una relazione dipende dal contesto e dalla punteggiatura delle sequenze»4; 4)«gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico»5; 5) «tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza»6. All’interno della comunicazione quindi ci sono diversi aspetti che la caratterizzano ed attraverso i quali riusciamo a comunicare, si tratta di elementi non verbali, para-verbali e verbali: con i primi si utilizzano infatti, la postura, i gesti, i movimenti del corpo, gli sguardi, la direzione degli sguardi, l’espressione del volto, i cenni del capo, gli abiti, il trucco, l’orientazione nello spazio, la distanza e l’uso degli oggetti; con la comunicazione para-verbale invece, si fa riferimento al tono della voce, al ritmo e alla velocità dell’eloquio, alla qualità e intonazione della voce, alla pronuncia, all’accento, al dialetto, alla continuità, alla pausa, alla durata, alla ripetizione, all’enfasi, alle intrusioni, alla retorica ed ai manierismi; nella comunicazione verbale ci si concentra solo sul contenuto, cioè le parole. Questi elementi non devono essere letti separatamente poiché come abbiamo detto la comunicazione li utilizza tutti simultaneamente. Da ciò detto, anche se in forma accennata, si può facilmente intuire come nei ruoli educativi e di orientamento non si debba trascurare nessun aspetto fondante della comunicazione. Sarebbe inoltre opportuno conoscere le metodologie e le tecniche specifiche per educare alla comunicazione, dal momento che la relazione educativa si fonda su una meta-riflessione continua che ha l’obiettivo di creare la comunità educante per favorire una relazione equilibrata, positiva e significativa.
Quando due persone comunicano, il comportamento tenuto influenza la comunicazione stessa, spesso però, in modo inconsapevole, vengono messe in atto delle “barriere” che ostacolano il fluire di ciò che viene trasmesso da ambe le parti, essere invece consapevoli di ciò è invece molto importante nella relazione educativa tra insegnante e alunno. Nella relazione docente-studente, infatti, la comunicazione può essere ostacolata dall’inevitabile distanza gerarchica che esiste tra le due parti coinvolte, tuttavia è compito dell’adulto creare le condizioni migliori perché la comunicazione sia positiva. Molte le teorie sulla comunicazione nella relazione educativa che sono state messe a punto nel tempo, un breve excursus per ricordarle: Pinto Minerva nel 1994 affermava che la comunicazione è una scienza e che la didattica viene ad essere la chiave della “scientificità” della discussione educativa in senso metodologico e costitutivo della tecnologia riferibile all’educazione; per i comportamentisti Watson e Skinner (1970) invece l’insegnante doveva esortare e potenziare l’apprendimento, mentre la relazione insegnante/allievo non esisteva e quindi non venne indagato; l’interazione comunicativa verrà ripresa da Rogers (1969) che grazie ai suoi studi affermò che gli alunni si sentono più tranquilli nelle loro scelte se l’insegnante si pone verso di loro in maniera non direttiva, ovvero accogliente; Bertolini (1990) parlava di interazione tra due soggetti e come in essa si sostanziano le capacità di comunicare e capire l’altro andando oltre la propria soggettività. Attraverso la reciprocità la relazione diventa veramente educativa; in Demetrio (1986), infine, la relazione educativa non è simmetrica, infatti prevede un dislivello comunicativo che provoca cambiamento nel sistema stesso, quest’ultimo è ricercato per rendere significativa la relazione; l’asimmetria della relazione educativa vede l’alunno come protagonista nonostante non ne comprenda ancora il processo globale ed è determinata dalla differenza d’età, di conseguenza dalla naturale differenza di esperienza e di cultura, si tratta pertanto, di un’asimmetria inevitabile, come afferma La porta (1993). Dunque la relazione affinché diventi costruttiva ha bisogno di insegnanti che si pongano domande del tipo: qual è il vissuto del bambino? Quali sono le sue competenze? Quali i suoi bisogni? E così via, ma dovrà anche interrogarsi suoi propri atteggiamenti, sapersi mettere in gioco, comprendere i conflitti e le tensioni non risolte, evitare che vi siano disagi interiori che possano ostacolare la relazione al fine di prevedere l’esito della comunicazione. È molto importante che l’insegnante abbia chiaro quale “stile educativo” mette in atto nei diversi contesti di una situazione educativa al fine di correggere eventuali dissonanze7, comunicare è pertanto l’arte del sapersi leggere comunicatori e quindi di conoscersi, come viene spiegato nel grafico.
Nell’istituzione educativa diventa importante anche il contesto di riferimento in cui avviene l’interazione e quindi per una comunicazione il più accogliente possibile ed idonea alle caratteristiche dei fruitori, bisogna curare gli spazi, gli arredi ed i materiali che vengono utilizzati, deve essere tutto commisurato alla fascia di età dei frequentanti, ciò, che è stato ampiamente affermato in molte ricerche sul benessere a scuola, favorisce un clima disteso e stimolante che facilita anche una comunicazione positiva. L’influenza dell’altro nella comunicazione è un altro aspetto determinante da tenere in considerazione poiché la relazione presagisce un pensiero che riguarda cosa penso dell’altro e come ci consideriamo l’un l’altro. L’immagine dell’altro è il risultato di una serie di processi, alcuni inconsapevoli, che fin dai primi momenti di incontro ci fanno attribuire all’altro determinate caratteristiche. Queste possono essere variamente riconosciute, in ogni caso possono concorrere alla costruzione dell’immagine dell’altro: la selezione delle informazioni, l’integrazione delle informazioni, i pregiudizi, la tendenza alla conferma, l’errata stima della probabilità di base, gli stereotipi e l’esperienza. Saperli riconoscere ci mette in guardia dal metterli in pratica, infatti la comunicazione sottende un investimento in termini di fiducia. E’ pertanto importante sapere quali sono i nostri stili comunicativi, ricordandoci che uno stile è un comportamento e che ne esistono tre categorie: aggressivo, passivo e assertivo, i primi due sono stili comunicativi negativi. Il comportamento assertivo implica invece, una considerazione realistica ed equilibrata delle proprie ed altrui capacità rispetto al contesto/problema/oggetto della comunicazione. C’è una difesa delle proprie ragioni accompagnata, però, dal rispetto del punto di vista altrui, è presente una verifica costante dei feed-back della comunicazione, un ampio uso di domande e dell’ascolto attivo, inoltre vi è una capacità di delega e di assunzioni di responsabilità. Il linguaggio non verbale ed il tono della voce sono calmi e sicuri, coerenti con la comunicazione verbale8.
Nella relazione educativa però, come ho accennato sopra, è necessario tenere presenti anche le possibili barriere alla comunicazione. Sarà quindi molto importante non solo saper riconoscere gli ostacoli alla comunicazione ma anche “esercitarsi” a non esprimerli. Nell’ambito scolastico non riconoscere i sentimenti dello studente implica una barriera alla comunicazione, pertanto bisogna evitare di:
-
Dirigere/dare ordini
-
Minacciare/ammonire
-
Predicare/moralizzare
-
Consigliare/offrire soluzioni
-
Discutere/cercare di persuadere
-
Giudicare/condannare/criticare
-
Elogiare/assecondare
-
Ridicolizzare/prendere in giro
-
Analizzare/diagnosticare/interpretare
-
Rassicurare/consolare/incoraggiare/mostrare comprensione
-
Interrogare/inquisire
-
Eludere/cambiare argomento9
Nella pratica quotidiana qualcuna di queste barriere viene messa in atto dagli insegnanti e dagli educatori, tuttavia è necessario esserne consapevoli e limitarne al minimo il loro utilizzo.
Qualche tempo fa nel leggere un articolo che parlava dell’educare “con cura” veniva data importanza al concetto di “ricettività”10. L’insegnante inizia infatti, con l’osservare la classe e l’analisi dei bisogni educativi individuali ponendosi in maniera ricettiva ovvero senza giudizio, rimanendo presente, facendosi carico e partecipe delle emozioni e delle scoperte, implementandole attraverso l’offerta di nuovi orizzonti e nuove opportunità. Prendersi cura significa tutto questo e molto altro ancora, secondo Schon l’insegnante infatti, deve aver capacità “riflessiva”, cioè pensarsi in situazione e in generale. Ecco che guardarsi mentre si comunica o si agisce ci permette di osservare le ricadute del proprio comunicare o agire, per ripensare il proprio stile educativo.
1Ibidem.
2Ibidem, p. 44.
3Ibidem, p. 47.
4Ibidem, p. 52.
5Ibidem, p. 59.
6Ibidem p. 62.
7 Tafuri, J. (1995). L’educazione musicale. Teorie, metodi e pratiche. EDT/SIEM Collana di Educazione musicale. Torino.
8 Gordon, T. (1991) Insegnanti efficaci. Il metodo Gordon; pratiche educative per insegnanti genitori e studenti, Giunti editore, Firenze.
9Ibidem.
10Mortari, L., Pedagogia ed educazione, Aver cura per educare, in L’educatore, Fabbri Scuola, Annata 2007/2008, n.1, Milano, pp. 13-16.
Esercitare la competenza comunicativa attraverso l’empatia e l’ascolto attivo
Il contesto, ovvero l’ambiente, abbiamo detto essere importante per una buona comunicazione e quindi deve essere più accogliente possibile. Bisogna inoltre essere consapevoli di noi, di ciò che sentiamo e della relazione con l’altro. Per capire ciò che prova l’altro bisogna “metterci nei suoi panni” e questo significa provare empatia. Bisogna capire cosa ci comunica l’altro non solo a livello verbale ma anche attraverso il linguaggio del corpo. È fondamentale inoltre, saper ascoltare, bisogna infatti esercitarsi ad utilizzare le tecniche dell’ascolto attivo. Ma cos’è l’ascolto attivo? Mediante l’empatia e l’accettazione incondizionata dell’altro, l’ascolto attivo viene ad essere un modo che facilita il fluire della comunicazione basandosi su un atteggiamento positivo dove la persona si senta non giudicata. Parlare di ascolto attivo significa quindi porsi verso l’altro in maniera aperta e disponibile non solo per ciò che dice ma anche verso sé stessi, per ascoltare le proprie reazioni, per essere consapevoli dei limiti del proprio punto di vista e per accettare il non sapere e la difficoltà di non capire. Così l’ascolto viene a connotarsi di tre aspetti principali: il contatto oculare, la prossemica e la postura e per procedere alla sua attuazione, è necessario seguire i seguenti passi: sospendere i giudizi e gli stereotipi, cercando di non pre-definire l’altro o ciò che dice con valori standard e soggettivi; stare in ascolto, osservando il processo e recependo le informazioni necessarie, il silenzio iniziale infatti aiuta a comprendere; cercare di provare empatia, assumendo il punto di vista dell’altro e condividendolo il più possibile; valutare se si è compreso sia a livello di contenuto che di relazione, facendo eventualmente delle domande aperte; predisporre l’ambiente per agevolare la comunicazione.
Un altro aspetto che talvolta genera fraintendimenti tra le persone mentre parlano sono i silenzi. Spesso ci sentiamo imbarazzati di fronte a pause più o meno lunghe, in una comunicazione verbale infatti, è possibile che ci siano dei momenti in cui le parole non vengono fuori e spesso alimentano il senso di disagio in chi lo prova, facendo scaturire improbabili discussioni a cui l’altro non è interessato, è necessario ribadire che esso fa parte integrante dell’ascolto. Non si tratta di un silenzio passivo, ma interattivo, con lo sguardo, la prossemica, la postura, è quindi importante riconoscerne il significato partecipativo nell’interazione sociale. A tal proposito mi viene sempre in mente quando parlo del silenzio, l’esempio di una bambina di soli 5 anni che, sollecitata in gruppo a esprimersi sul concetto di silenzio musicale, dichiarò: “il silenzio è un suono che non fa rumore”, non è quindi un vuoto da riempire per forza ma un pieno da esplorare, è quindi un potenziale oggetto di ascolto. L’ascolto a scuola viene pertanto ad essere un metodo educativo e uno strumento di contatto tra studenti e insegnanti. Partendo dagli elementi che compongono l’ascolto attivo è possibile lavorare a scuola su una comunicazione efficace tenendo conto dei seguenti principi:
-
Creazione di un clima sereno
-
Valorizzazione degli alunni
-
Ascoltare e non giudicare
-
Non intromettersi ovvero ci si deve ascoltare tutti
Il Problem solving
Altra tecnica di educazione al positivo interscambio è quella del problem solving inteso come strumento di comunicazione efficace, ovvero un “gioco senza perdenti”, tutti partecipano alla soluzione del problema (Gordon 1991). L’uso del problem solving fa sì che alcuni conflitti, di tipo più complesso, possano essere superati. Vi sono sei fasi da seguire:
-
esposizione del problema
-
proposte di soluzioni
-
valutazione degli aspetti negativi e positivi delle proposte
-
scelta della proposta più idonea
-
attuazione
-
verifica dei risultati
Il tempo relazionale e il circle time
Per stimolare la fiducia che l’alunno può provare nei confronti dell’insegnante, sarebbe opportuno dedicare i primi dieci minuti della lezione alle loro confessioni. Gordon chiama questo spazio “tempo relazionale“1, in cui l’alunno può esprimere i suoi vissuti, ansie, preoccupazioni, disagi che, se trascurati e non rielaborati con l’aiuto dell’insegnante e degli interventi dei compagni, passano attraverso un comportamento negativo. Un altro tipo di intervento, per facilitare la coesione del gruppo classe e creare un clima di solidarietà reciproca e di vicinanza emotiva, è quello del “circle time“. E’ uno spazio in cui gli alunni possono discutere su un dato argomento. Il ruolo dell’insegnante è quello di mediare e monitorare la discussione. Gli alunni si mettono in cerchio in modo tale da creare un clima di fluida collaborazione e amicizia. Si può immaginare il problema come se fosse una porta da aprire, di cui bisogna cercare la chiave, la serratura, il sistema di apertura. Se esiste un problema ci sono sempre delle soluzioni altrimenti non esistono problemi ma vincoli. Un vincolo è come un muro che va evitato e aggirato. Il problema, una volta definito e riformulato, è riduttore di complessità giacché da un insieme indefinito di diverse variabili scegliamo solo alcuni elementi da prendere in considerazione per giungere ad una soluzione possibile e accettabile2.
Grazie agli studi e ai suggerimenti di Gordon e Rogers è stato possibile comprendere come molti conflitti all’interno delle istituzioni scolastiche siano in realtà problemi legati ad una comunicazione scarsamente efficace e anche molto inconsapevole da parte di tutte le persone coinvolte. Tuttavia esercitarsi nell’essere competenti nella comunicazione non significa imparare a fingere nella relazione con l’altro per conseguire il fine di piacergli e di fare un buon lavoro, tutt’altro, significa imparare che attraverso il nostro modo di comunicare possiamo influenzare chi ci ascolta, provocare respingimento o chiusura oppure essere fraintesi, è quindi auspicabile effettuare un cambio nel modo di comunicare con l’altro e provare a mettersi nei suoi panni cercando di essere assertivi e arrivare a instaurare un rapporto sereno ed efficace in termini di collaborazione ed empatia. Riuscire a mettere in pratica queste strategie didattico-relazionali è già un valore pedagogico non indifferente. Io stessa, in classe, cerco di dedicare tempo e uso le strategie didattiche di gruppo che favoriscano la relazione e gli scambi positivi, in particolare il Circle Time e le attività di gruppo.
1 Gordon, T. (1991) Insegnanti efficaci. Il metodo Gordon; pratiche educative per insegnanti genitori e studenti, cit.
2Ibidem
Bibliografia citata nell’articolo
Demetrio D. (1996) Raccontarsi, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Capperucci, D., (2007), La valutazione delle competenze in età adulta. Il contributo dell’«experential learnig» e dell’approccio riflessivo, ETS, Pisa.
Federighi, P. (2006) Linee guida per i Circoli di Studio – Orientamenti metodologici a partire dall’esperienza toscana, Regione Toscana, Sistema Integrato Regionale per il Diritto all’Apprendimento, Firenze.
Gordon, T. (1991) Insegnanti efficaci. Il metodo Gordon; pratiche educative per insegnanti genitori e studenti, Giunti editore, Firenze.
Mazzoli, F. (2001). C’era una volta un re, un mi, un fa… nuovi ambienti per l’apprendimento musicale. EDT /SIEM Collana di Educazione musicale, Torino.
Mortari, L., in Pedagogia ed educazione, Aver cura per educare, in L’educatore, Fabbri Scuola, Annata 2007/2008, n.1, Milano.
Sclavi, M., (2003), Arte di ascoltare i mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano.
Schulz Von Thun, F. (1997) Parlare insieme. La Psicologia della Comunicazione. Edizioni TEA – Tascabili degli Editori Associati, Milano.
Tafuri, J. (1995). L’educazione musicale. Teorie, metodi e pratiche. EDT/SIEM Collana di Educazione musicale, Torino.
Watzlawich, P. Beavin J. H. e Jackson, D.D. (1967). Pragmatica della Comunicazione Umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi. Casa editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma, 1971.